
Bastet
"Eccomi, dice il gatto, amami come sono o non amarmi affatto"
Quando la guardavo nei suoi grandi occhi gialli, quella gatta mi svelava le risposte delle domande che non avevo mai formulato. Mi aveva seguito un giorno senza che lo volessi, senza che ne capissi il motivo, finché non compresi che sarei stata io a seguirla per tutta la vita. Iniziò un cammino che si percorre a passi felpati, senza averlo deciso, in silenzio, con movimenti sinuosi.
Non capivo ancora che le sarei andata dietro
più incondizionatamente di quanto lei avesse fatto con me, che l’avrei ricercata per sempre, anche oltre la sua assenza, ma che sarebbe stata lei tutte le volte a ritrovarmi.
Che quella gatta era una maliarda e mi aveva stregata, che era Bastet stessa in persona che mi aveva iniziata alla sua magia.
A lei era dedicata l’intera città di Per Bast
nell’antico Egitto, conosciuta presso i greci
come Bubastis.
Bastet, la dea gatta, la sublimazione del felino,
era una delle principali dee del pantheon egiziano.
Quando l’antenato dell’attuale gatto domestico
fece la sua prima comparizione sulle sponde
del Nilo, subito venne tenuto in massima
considerazione.
Gli egizi lo accolsero in casa per tenere lontano i topi, per godere di quella serenità mai del tutto distesa che la sua compagnia offre, per ricavarne protezione, per concedersi il lusso di accarezzare una piccola tigre.
Quando moriva il gatto di casa, i padroni si rasavano il sopracciglio in segno di lutto e talvolta gli davano sepoltura mummificandolo, come dimostrano i diversi ritrovamenti attorno a Per Bast. In quella città, come narra Erodoto, sorgeva il tempio di Bastet, una dea femminile come l’universo a cui il gatto è collegato.
Essere devoti a Bastet propiziava la fertilità, era la protettrice delle madri e dei bambini, del focolaio domestico e delle arti, della felinità mansueta, della natura selvaggia che si lascia addomesticare alle sue condizioni. Il suo epiteto era “la signora delle bende” e veniva spesso raffigurata come una donna con la testa da gatto, o come una gatta tutta nera, equipaggiata di uno strumento a sonagli e di una boccia di profumo in alabastro.
La sua nemesi e il suo doppio era la sorella Sekhmet, la dea Leonessa, portatrice di un’irruenza selvaggia e
distruttiva tutt’altro che domabile.
Sekhmet rappresentava la forza demolitrice, la distruzione che non è però fine a se stessa ma che prelude la rinascita.
Il fare tabula rasa per poter costruire ancora.
Per questo era anche la protettrice dei medici e la si pregava per propiziarsi la guarigione dalle malattie.
Sia Bastet che Sekhmet erano figlie di Ra, il dio Sole, e costituivano uno degli "Occhi di Ra", poiché questa duplice divinità veniva inviata dallo stesso Ra per eliminare i nemici dell'Egitto e dei suoi dèi.
Una leggenda narra che Ra, deluso dal comportamento improbo dell'umanità, inviò Sekhmet sulla terra a punire gli uomini. La leonessa iniziò a far strage di tutto ciò che le si parava davanti.
In seguito Ra, reso più indulgente dagli altri dèi, cercò invano di richiamare la dea furiosa, finché escogitò uno stratagemma: fece preparare un liquido con birra e ocra rossa, di modo che fosse simile al sangue, e lo versò sul terreno. Appena vide il liquido rosso, Sekhmet lo bevve fino a ubriacarsi e crollò addormentata. Il sonno calmò la collera della dea, che al suo risveglio assunse la forma di Bastet e smise di infierire contro il genere umano.
Per questo un antico detto egiziano recitava “non puoi accarezzare Bastet prima di aver affrontato Sekhmet” .
La dualità espressa nel rapporto tra le due dee sorelle è protesa verso la ricerca di un equilibrio tra le due forze, una tensione tra due temperamenti che sono il segreto ed il fascino della natura dei gatti, del mistero che condividono con le donne e che li rende esseri affini.
Quando la guardavo nei suoi grandi occhi gialli, la mia gatta mi svelava tutto questo e poi si voltava a guardare qualcosa che io non vedevo ancora. In quei momenti capivo che la sua apparenza celava qualcosa di più che dovevo ancora svelare. Col tempo avrei scoperto che era un mistero insolvibile, il lampo rivelatore di un’idea, una ricetta di fascino, uno scrigno di bellezza. Avrei scoperto che quella gatta era una Dea che mi sussurrava il segreto più sacro di tutti: che lo sono anche io.

